A me è successo un sacco di volte (ad esempio, le notifiche dagli ufficiali giudiziari sono la
palestra ideale per chi voglia provare la tenuta dei propri nervi).
Ecco funziona più o meno così: dopo le prime tre telefonate a fidanzati, amici e clienti, e dopo aver
letto il tuo bel giornale, inizi a cercare conforto nella gente che ti circonda.
Prima ti guardi intorno.
Così, genericamente.
Poi, presa dallo sconforto, ti giri, sbuffando e scuotendo la testa, verso la Signora dietro di te, desiderando da lei, un cenno di disapprovazione per quella situazione.
Fino a quando – capita quasi sempre- arriva, bello bello, il furbone di turno che, invocando una scusa qualunque, cerca scaltramente di infilarsi, ed evitare l’attesa.
Una mossa che scatena una gamma di reazioni (insulti inclusi) e sentimenti, che vanno dalla demoralizzazione, per il sistema che non funziona, alla “incazzatura più nera” per chi ha scansato la coda.
Ecco, oggi nel vedere che il testo del decreto anti-anticrisi esclude la città di Roma - già beneficiaria di lauti contributi - dal patto di stabilità (che impone ferrei vincoli ai bilanci dei comuni), mi sento un po’ così.
In coda, con tutti i comuni d’Italia, ciascuno in attesa del proprio turno.
Mentre i romani, esattamente come quel furbetto citato sopra, infischiandosene della fila, superano gli altri, accompagnando (come se non bastasse..), la prode mossa, con una bella e fragorosa pernacchia!
E sapete quale è la sola differenza tra le due situazioni?
Che i discendenti di Romolo e Remo al posto degli improperi, si ritrovano pure la piena benedizione della Lega.
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