Un secondo. Un
minuto. Un tuffo. I cento metri. Un ‘ora. Sessanta chilometri.
Un unico adrenalinico istante (più o meno lungo) nel quale l'atleta si misura con se stesso. Con le sue capacità. I suoi sacrifici . I suoi allenamenti. Il suo essere eccellenza.
Se vinci entri nell'Olimpo. Se manchi il
traguardo, precipiti nella termopili dei perdenti.
Quello che più mi affascina delle Olimpiadi è l’idea stessa “del verdetto". L'ossimoro "vittoria e sconfitta". Non ci sono se e ma. Vinci o perdi.
O guadagni l'alloro o getti alle ortiche ore di allenamenti e sacrifici. Tertium non datur.
O guadagni l'alloro o getti alle ortiche ore di allenamenti e sacrifici. Tertium non datur.
Senza alibi, o scuse.
L’atleta risponde. Sempre. Comunque. In tempo reale. Ed in prima persona.
Una bella lezione quella delle Olimpiadi.
Una bella lezione quella delle Olimpiadi.
Uno "stile" cui forse dovrebbe ispirarsi la politica italiana.
Fatta - per nostra sfortuna - da una classe dirigente che non paga mai per i propri errori.
Che, anche grazie (ma non solo ), al porcellum è sempre ben salda sui propri scranni.
Che si autorigenera, come un cancro inestirpabile. Che arriva a definire chi ruba milioni di euro un povero capo espiatorio. ...
Che fa sempre pagare ad altri, i propri conti...
Che, anche grazie (ma non solo ), al porcellum è sempre ben salda sui propri scranni.
Che si autorigenera, come un cancro inestirpabile. Che arriva a definire chi ruba milioni di euro un povero capo espiatorio. ...
Che fa sempre pagare ad altri, i propri conti...