martedì 19 agosto 2014

Chi vive di politica. Fa male alla politica.


Scriveva Max Weber "Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l'uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza.
Passione nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una "causa" (Sache), al dio o al diavolo che la dirige. [...] Essa non crea l'uomo politico se non mettendolo al servizio di una "causa" e quindi facendo della responsabilità, nei confronti appunto di questa causa, la guida determinante dell'azione. 
 
Donde la necessità della lungimiranza - attitudine psichica decisiva per l'uomo politico - ossia della capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore: come dire, cioè, la distanza tra le cose e gli uomini. Lullità delle creature incombe effettivamente - ciò è assolutamente esatto - anche sui successi politici esteriormente più solidi."
 
Alle tre qualità di Weber ne aggiungerei una quarta. 
Un lavoro. Una propria occupazione professionale alla quale tornare finito il proprio mandato elettorale.

 Il politico di "professione" a libro paga della collettività, non avrà mai (nè la voglia, nè la forza) di cambaire il sistema. 

Come nota il prof. Virga in questo interessante articolo che riporto in calce "La prima regola che i politici di professione imparano solitamente è quella di promettere molto e soprattutto di non tagliare mai in maniera drastica la spesa pubblica (ma semmai incrementarla, secondo la vecchia ed abusata regola del “tassa e spendi”), perchè è così vitale per il consenso elettorale."

I politici di professione "quanto meno per l’innato istinto di conservazione (si può fare qui ricorso alla magari abusata, ma efficace immagine, utilizzata nel mondo anglosassone, dell’impossibilità per i tacchini di fissare volontariamente il giorno del ringraziamento), non sono molto propensi ad incidere significativamente sulla spesa pubblica."

E purtroppo di giovani o giovani vecchi, che pensano di campare ed arrivare alla pensione  grazie alle ricche indennità sono piene le nostre istituzioni!

Anatomia di un declino

Molti sostengono che la classe politica di un Paese riflette fedelmente la società civile che l’ha partorita; così, almeno, dovrebbe avvenire in una democrazia compiuta. In particolare ricordo che in una ormai lontana puntata della trasmissione televisiva “Porta a porta” (caduta in realtà, come tante, nell’oblio; me ne ricordo solo perchè la citai in un passato intervento nel weblog) l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, per contrastare le domande incalzanti di Vespa sui ricorrenti scandali nel modo politico, chiese retoricamente: è proprio sicuro che la società civile sia differente e soprattutto migliore della classe politica? Cercando così indirettamente di evocare il vecchio detto: tutti colpevoli, nessun colpevole.
In quella occasione scrissi che spesso la società civile non è migliore dei politici che la rappresentano in Parlamento. Tuttavia, preciso ora, ciò non significa che la società civile corrisponda esattamente alla classe politica “dominante”, costituendo quest’ultima uno specchio deformato della società civile. Così, almeno, voglio sperare per il futuro dell’Italia.
Certo, se andiamo a controllare la provenienza dei vari deputati e senatori che compongono l’attuale Parlamento, ci accorgiamo che sono presenti, più o meno, tutti i componenti della società civile (non solo donne ed uomini, per l’ormai imperante principio della parità di genere, ma anche operai, industriali, rappresentanti del c.d. popolo delle partite IVA e perfino studenti universitari).
Tuttavia, se escludiamo i molti “peones” che si limitano quasi sempre a seguire gli ordini di scuderia, essendo stati “nominati” dalle segreterie politiche che ne condizionano la rielezione e limitiamo l’esame a coloro che effettivamente tirano le redini del gioco parlamentare, ci accorgiamo che essi sono in gran parte dei politici di professione, dato che nella loro vita non hanno svolto alcuna altra attività se non quella della politica; non che ciò sia una colpa od un merito, ma rimane un fatto da valutare, per capire meglio.
Quanto appena detto vale in particolare per i due principali esponenti politici attuali: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che è un politico di lungo corso (la sua carriera iniziò infatti allorchè l’attuale Partito democratico si chiamava P.C.I.) ed il Pres. del Consiglio Matteo Renzi, che, per ragioni anagrafiche, è un politico di più breve corso (il cui padre – come si apprende tramite Wikipedia – è stato consigliere comunale di Rignano sull’Arno tra il 1985 e il 1990 per la Democrazia Cristiana; il Pres. Renzi – sempre secondo Wikipedia – dopo avere conseguito nel 1999 la laurea in Giurisprudenza con una tesi in “Storia del Diritto” dal titolo “Amministrazione e cultura politica: Giorgio La Pira Sindaco del Comune di Firenze 1951-1956” e dopo aver lavorato nella azienda paterna ed aver tentato una carriera nel settore degli arbitri di calcio, si è iscritto prima al Partito Popolare Italiano, confluito poi nella La Margherita e poi ancora nel P.D., diventando prima Presidente della Provincia e poi Sindaco di Firenze: da qui, recentemente, l’acrobatico salto alla Presidenza del Consiglio ed a quella del semestre europeo).
Già la tesi di laurea di Renzi non sembra costituire un buon viatico: tale tesi, infatti, come già detto, è stata dedicata a Giorgio la Pira, Sindaco di Firenze, i cui buchi di bilancio passarono alla storia (è bene precisare che allora si era ancora agli albori della c.d. prima Repubblica e gli amministratori con le mani bucate costituivano solo l’eccezione); La Pira infatti – come raccontò Indro Montanelli in un famoso articolo pubblicato nel Corriere della Sera di molti lustri addietro, ma ancora consultabile on line, suggeriva di coprire i buchi raccomandandosi alla Madonna e, quando diventò Sindaco, “via via che trovava un buco nel bilancio – e Dio sa se ce n’erano – lo metteva in conto alla Madonna e ne faceva degli altri“; questo è il “padre putativo” ed il modello al quale si è ispirato il giovane Renzi.
Ad ogni modo, se si esaminano i curricula di questi due politici di primo piano, quelli che erano i sostenitori del “compromesso storico” nella prima Repubblica oggi saranno probabilmente soddisfatti (quindi non è vero che moriremo tutti democristiani, ma quali figli del compromesso storico forse si). E se si esaminano i curricula degli esponenti di primo piano del mondo politico, ci si accorge che, purtroppo, mancano spesso quelli che vengono chiamati, nel mondo anglosassone, i c.d. “civil servants” che si dedicano agli interessi veri della collettività, spesso a scapito del consenso popolare (l’ultimo che io ricordi è stato il Pres. Ciampi).
La prima regola che i politici di professione imparano solitamente è quella di promettere molto e soprattutto di non tagliare mai in maniera drastica la spesa pubblica (ma semmai incrementarla, secondo la vecchia ed abusata regola del “tassa e spendi”), perchè è così vitale per il consenso elettorale.
Il problema è che, sotto l’incalzare della crisi economica ed il dilatarsi della tassazione che grava su imprese e cittadini nonchè dell’imponente debito pubblico, la appena citata regola (tassa e spendi) non è più praticabile, anche se non sono da escludere ulteriori aggravi di tassazione nel prossimo autunno per fronteggiare gli ultimi buchi di bilancio, anche grazie alle clausole di salvaguardia introdotte dal Governo Letta, nè sono sufficienti generici impegni di riduzione della spesa pubblica.
Anche perché nel frattempo la spesa pubblica, a dispetto delle riforme “epocali” recentemente varate, continua a galoppare: si è appreso appena ieri – anche se la notizia è stata accuratamente posta in secondo piano dai nostri organi di informazione – che, nei primi sei mesi del 2014, la spesa pubblica è aumentata di oltre 99 miliardi di euro, mentre le entrate – a causa della crisi economica – sono diminuite di oltre il 7%.
Di fronte a questo drammatico scenario, io personalmente rimango scettico sul fatto che un personaggio come Renzi, il quale ha già dimostrato di volere mantenere a tutti i costi l’imponente consenso elettorale conseguito alle scorse elezioni europee, sia in grado di incidere seriamente sulla spesa pubblica. Mi ha colpito in particolare l’apparente indifferenza mostrata alla notizia delle ventilate dimissioni di Cottarelli. Lo stesso dicasi per il Pres. Napolitano, il quale, nonostante la crisi economica, nel corso del suo lungo mandato, non ha ridotto di molto il dispendiosissimo apparato della Presidenza della Repubblica. anche al fine di dare un segno di svolta. Chi vivrà, comunque, vedrà. I ripensamenti, in questo caso, sono da considerare ben accetti.
Quel che mi preme qui sottolineare è invece il discorso che facevo prima e cioè che la classe politica dominante – anche per il sistema elettorale – è costituita da politici di professione, i quali, quanto meno per l’innato istinto di conservazione (si può fare qui ricorso alla magari abusata, ma efficace immagine, utilizzata nel mondo anglosassone, dell’impossibilità per i tacchini di fissare volontariamente il giorno del ringraziamento), non sono molto propensi ad incidere significativamente sulla spesa pubblica.
Ciò è valso anche per i cd. “tecnici” che in realtà si sono rivelati dei politici, com’è avvenuto nel caso di Monti, il quale, per evitare di apportare tagli alla spesa pubblica, dopo appena sei mesi dall’incarico, nonostante che si trattasse di un Governo super-tecnico, diede incarico a Bondi, risanatore della Parmalat, ma con sulla carta molti meno titoli dei componenti del Governo, l’incarico di effettuare una spending review e le cui proposte, per buona prassi, sono state accuratamente conservate in un cassetto ben chiuso.
L’unica speranza è costituita dal fatto che, come ha recentemente detto (perfino in modo brutale) il Pres. della B.C.E. Draghi, l’alternativa è ormai che o si fanno subito le riforme (quelle serie, con la riduzione della spesa pubblica ed il taglio delle tasse) o interverrà un commissariamento da parte della U.E. e del Fondo monetario internazionale, dato che l’Italia è “too big to fail”.
Una dichiarazione questa sorprendentemente condivisa parola per parola dal Pres. Renzi, nonostante che non abbia finora molto fatto per ridurre la spesa pubblica. Lo stesso Renzi, del resto ha ammesso, nelle ultime ore, dopo avere incontrato segretamente Draghi, che «in Italia c’è una situazione drammatica».
Io personalmente, come già detto, rimango scettico e comincio a sentire il rumore degli elicotteri del Fondo monetario o (scenario questo in realtà meno verosimile, per la presenza di un Berlusconi che ormai sembra aspirare solo a gestire il suo declino) il rumore, non meno fragoroso, delle elezioni politiche anticipate, per sfruttare l’onda lunga delle europee ed evitare – come li ha chiamati la Merkel – i dolorosi compiti a casa, più volte rinviati.
Il problema è che l’economia non solo mondiale, che ha acceso nei giorni scorsi un faro sull’Italia, ma soprattutto italiana, che ormai vistosamente boccheggia, non può più ulteriormente attendere meline, rinvii o giochi di prestigio (come quelli di togliere un poco di tasse qua, per metterne molte più alte là). Non c’è più tempo da perdere.
O forse dobbiamo, come il modello al quale si ispira il Pres. Renzi, raccomandarci alla Santissima Madonna per coprire i buchi di bilancio?
Giovanni Virga, 14 agosto 2014.
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Commenti (1)

  1. Massimo Perin scrive:
    Il commento del Prof. Virga fotografa, purtroppo, l’amara realtà del Paese, dove il Presidente del Consiglio non sembra fare altro che riferire agli organismi europei sui compiti fatti e da fare.
    Certamente, è grave la circostanza che la spesa pubblica aumenta, ma benefici per i cittadini non vi sono. Per esempio, se le risorse raccolte fossero destinate veramente alla sanità, alle infrastrutture, alla scuola, alla sicurezza, probabilmente si vivrebbe nell’eldorado.
    Purtroppo, nonostante la spesa pubblica sia altissima, i servizi sono a livello molto basso (e questo lo vediamo da cittadini quando prendiamo un qualunque treno regionale o andiamo in un ospedale pubblico).
    Il problema vero del Paese nasce dalla mediocrità delle classi dirigenti (comprese quelle private), oltre l’imperante corruzione e malavita che entrano sempre con più prepotenza nel nostro sistema economico dominandolo e distruggendolo. Si pensi all’oramai diffusa invasione dei nostri territori. Sappiamo che i migranti pagano cifre spropositate per raggiungere le nostre coste, ma non sappiamo e non prendiamo chi, su queste tragedie, specula e guadagna.
    L’Italia potrà iniziare a riprendersi solo quando le persone per bene potranno riprendere a dirigere questo Paese, sia nel mondo privato, sia in quello pubblico, ma per fare questo serve una nuova cultura della responsabilità e serve dare alle giovani generazioni messaggi positivi, dove non vengono premiati i furbi e gli arrampicatori disonesti, ma quelli che si applicano nella vita con serietà, con onestà e con sacrificio.
    Potrà pure sembrare illusorio, ma strade diverse non esistono.


 

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