Tempo di letture. Un tranquillo viaggio in treno o lunghi pomeriggi spaparanzati sulla spiaggia,
ad abbrustolirsi sotto il sole rovente: quale occasione migliore per poter finalmente
dedicarsi alla lettura di qualcuno di tutti quei libri comprati nel
corso dell’anno ed impilati, in completo stato di abbandono, da mesi sul comodino?
E così ho potuto finalmente terminare “Le stanze Illuminate” di Richard Mason
(2008).
Nella mente dell’anziana Signora Joan McAllister, ricoverata in una casa di riposo e
con un principio di Alzheimer, si aprono stanze che la conducono in secoli ed ambienti diversi:
in Sudafrica nel campo di concentramento durante la guerra anglo-boera (1899-1902) , dove hanno
perso la vita i suoi zii, poco più che bambini; nella propria casa, scenario di una vita coniugale triste e dolorosa, in
balia del marito violento e della suocera dittatrice; nell’Albany, la lussuosa casa di riposo ,
ricavata nel sontuoso edificio vittoriano che un tempo era una dimora privata, nel quale
l’anziana donna è convinta si stia per commettere un terribile crimine...
Mezzo secolo dopo, luoghi diversi, ma stesso identico disprezzo per la vita umana.
In “Essere senza destino" (non proprio una lettura da spiaggia … ma era il primo
della pigna sul mio comodino …) il premio Nobel ungherese Imre Kertesz, ripercorre le tappe della propria
reclusione nei campi di sterminio nazista.
Gyurka, quattordicenne deportato prima ad Auschwitz poi a Buchenwald e Zeitz,
che la fame “ininterrotta, così a lungo termine” trasforma
“in un vecchio deperito” con la pelle “floscia e grinzosa,.. gialla avvizzita, coperta
da ogni sorta di piaghe, aloni marroni, lesioni e screpolature, rughe e squame”
al cronista “del giornale democratico” , incontrato dopo la sua liberazione sulla via verso
casa, che gli chiede delle atrocità subite, risponde “un po’ meravigliato …
che non avevo poi tante cose interessanti da raccontargli …
Ancora più meravigliato ho voluto sapere: ”Ma di che cosa?” Dell’Inferno dei Lager,” mi ha risposto.
Gli ho risposto che di questo proprio non ero in grado di parlare, perché l’inferno io non
lo conoscevo e nemmeno lo sapevo immaginare …; quanto a me io potevo solo
immaginarmi il campo di concentramento, perché entro certi limiti lo conoscevo, mentre l’inferno no”
Perché per Gyurka, troppo impegnato nella dura lotta per la sopravvivenza, “Non esiste
assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio cammino, lo so fin
d'ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile.
Perché persino là, accanto ai camini, nell'intervallo tra i tormenti c'era qualcosa che
assomigliava alla felicità.
Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli 'orrori': sebbene per me, forse, proprio
questa sia l'esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi
di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno".
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