sabato 26 aprile 2008

Appunti

Come promesso, eccovene un breve sunto.
Come ormai a tutti ben noto, le elezioni dello scorso 13 e 14 aprile hanno segnato la netta e schiacciante vittoria, grazie soprattutto alla Lega Nord, della coalizione guidata da Silvio Berlusconi che, superando di ben 9 punti quella guidata da Walter Veltroni, ottiene con 336 seggi a Montecitorio (276 PDL e 60 Lega a fronte dei 246 della coalizione avversa) e 172 a Palazzo Madama (di cui 147 al PDL e 25 alla Lega rispetto ai 132 di PD + IDV ), una chiara maggioranza Parlamentare.
I dati forniti dall’Istituto Cattaneo e quelli ricavati dalle rilevazioni effettuate dal Prof. Paolo Natale su un campione di 1.300 sezioni relative a circa 1.000.000 di elettori, suggeriscono alcune considerazioni.
Il primo elemento degno di attenzione è il crescente astensionismo che (registrando un incremento del 93% rispetto al 1983) ha interessato il 20% degli aventi diritto, penalizzando in massima parte il centrosinistra, sostanzialmente lo sconfitto della competizione elettorale.
All’interno della coalizione berlusconiana, che guadagna rilevanti consensi soprattutto in Campania - grazie alla disastrosa gestione dei rifiuti di Napoli - in Lombardia, Veneto, Sicilia, Puglia e Calabria, cresce la Lega Nord (la quale conquista circa 1,7 milioni voti di cui 1,4 al Nord), a danno del Popolo Della Libertà, che esce dalle consultazioni elettorali (come attesta la tabella riportata a lato) ridimensionato e fortemente “meridionalizzato”.
Il consistente aumento dei voti del Carroccio evidenzia che gli elettori hanno inteso premiare non i partiti “a vocazione maggioritaria” delle due coalizioni (PD e PDL) ed i loro programmi, bensì i gregari, Lega Nord, da un lato, e Di Pietro Italia dei Valori, dall’altro, che si connotano sempre più come partiti “catch-all”, piglia tutto, capaci di intercettare, interpretandone la protesta antipolitica, il voto di settori differenti e variegati della società ed in grado di condizionare, in virtù del loro crescente peso politico, l’attività di governo dei rispettivi compagni di coalizione (specie su temi caratterizzanti quali l’istanza federalista).
E così nel Nord la Lega incrementa i suoi consensi, ben oltre le stime, passando a Montecitorio, dal 4,6 % ad oltre l’8% e danneggiando proprio il PDL che perde (alla Camera), rispetto ai consensi ottenuti nel 2006 da Forza Italia ed Alleanza Nazionale, oltre 100.000 voti in termini assoluti (-0,9%), soprattutto nel Veneto, in Lombardia e nel Friuli.
L’ondata leghista si è abbattuta per lo più su Forza Italia che perde ¼ dei suoi aderenti a vantaggio del partito di Bossi, il quale, perfettamente integrato nel sistema e non più relegabile alla sola dimensione territoriale, reclama (come dimostra la rivendicazione del Governo della Regione Lombarda) un ruolo importante nella coalizione e risposte forti al diffuso sentimento di paura del depauperamento economico, della precarietà, dell’immigrazione.
Nel Sud è, invece, l’Italia dei Valori di Di Pietro, percepita dall’opinione pubblica come partito giustizialista, di denuncia della corruzione e dei costi della politica, a registrare un significativo rafforzamento dei propri consensi (che aumentano alla Camera dell’81,7% rispetto a quelli ottenuti nel 2006), con punte di eccellenza nel Molise (cfr. tabella quì sotto).
Non pare abbia, invece, avuto alcun seguito l’invito al voto disgiunto suggerito, qualche giorno prima delle consultazioni, da Giovanni Sartori sul Corriere della Sera (cfr. editoriale 10 aprile 2008).
Quanto al Partito Democratico, pur complessivamente vincente rispetto all’Ulivo del 2006, nei cui confronti recupera voti (alla Camera + 0,9%) , non si può sottacere il sostanziale insuccesso dell’aspettativa di Veltroni di sfondare al centro”.
Il Pd, che migliora nell’area centrale (Umbria + 12,9%), subendo viceversa un calo di consenso tra gli altri, in Sicilia (- 1,3%) in Calabria (-2,7) e soprattutto nel Veneto (-4%), riesce, purtuttavia, ad attrarre quella quota dell’elettorato di Alleanza Nazionale, non riconosciutasi nel PDL. Si tratta di un voto personalizzato a favore di Veltroni, il politico, insieme a Fini, più amato dai romani. Solo il 10% dei fedeli ad Alleanza Nazionale ha votato la destra di Storace e della Santanchè, che registra un sostanziale fallimento.
Penalizzata dalla sua precedente presenza nel governo e da una scelta di aggregazione di Liste che, mischiando esperienze tra loro troppo eterogenee, non è probabilmente neppure stata compresa dai suoi stessi elettori, l’estrema sinistra patisce rispetto al 2006 una diaspora del voto, costante ed indifferenziata, su tutto il territorio nazionale dal 5 al 10%, deludendo le aspettative di quanti pensavano che sarebbe, comunque, riuscita a raggiungere lo sbarramento necessario per accedere alla Camera dei Deputati.
La Sinistra Arcobaleno perde quasi 2,4 milioni di consensi, oltre i 2/3 del suo elettorato (1/3 è rimasto fedele, 1/3 (30%) è confluito nel PD, una parte pari al 20% non si è recata alle urne, mentre circa il 6%/10% al Nord si è rivolto alla Lega). Esodo di voti che non può certo stupire ( e sulle cui ragioni si legga quì) : già dalle indagini della CGIL del 1994 emergeva che il 20% dei suoi iscritti votava per Bossi.
L’Udc, che si attesta a livello nazionale sul 5,5%, perde circa 530.000 voti (in termini assoluti il 20% dei suoi elettori del 2006) soprattutto in Lombardia (-30% 155 mila voti), Lazio (-34% 86 mila voti) e Veneto (- 30,8%- 76 mila). Il partito di Casini, al quale non resta che prendere atto del sostanziale fallimento della velletaria ipotesi di creare un “polo centrista”ottiene, verosimilmente grazie alla candidatura di Ciriaco De Mita, un incremento del 17% in Campania, connotandosi, dunque, come partito a forte “accentuazione meridionalista”.
Ora, al di là di una certa mobilità di flussi elettorali tra partiti della stessa coalizione (PDL-LEGA/ PD-IDV), occorre prendere atto – come evidenzia il Prof. Natale - del fatto che l’elettorato italiano dimostra una tendenziale fedeltà all’area politica di riferimento: solo il 4%,5% dei votanti (circa 2.000.000 su 47.000.000 elettori) è disposto a passare alla coalizione avversa.
E’ questo l’effetto di una percepita pregressa affiliazione che porta a modificare il meno possibile il proprio comportamento elettorale. L’appartenenza politica, dopo aver perso quel valore di elemento fortemente rilevante nella formazione della personalità che aveva negli anni ’70, emerge in qualche occasione specifica (quale la chiamata alle urne), ove l’elettore ritrova - esattamente come avviene per la squadra di calcio del cuore - una fedeltà alla propria parte politica. Il voto diviene “una sorta di identificazione collettiva” ormai asfittica.
Fedeltà che si è disposti addirittura, ed anche con una certa facilità, a tradire nelle scelte amministrative ( Ad es. il 20% dell’elettorato romano di AN ha votato alle comunali per Veltroni). Si può in sostanza concludere che la vittoria della coalizione berlusconianan e la conseguente sconfitta di quella veltroniana sono state determinate da tre fattori: dall’astensionismo selettivo che, come evidenziato dai dati ha colpito, questa volta, soprattutto gli elettori dell’Unione; dal cambiamento dell’offerta politica, dato, nelle recenti elezioni, dalla scelta dei partiti gregari di correre da soli; dal comportamento dell’elettorato marginale - di cui ha maggiormente beneficiato i due partiti gregari - definito da Natale il “ventre molle” dei votanti, più disposti a cambiare, sulla base di suggestioni, le proprie scelte elettorali (sono pari al 3% quelli passati dal centrosinistra al centrodestra- e al 2% quelli spostatisi dal centrodestra al centrosinistra).
Certo non si può dimenticare che tra le cause che hanno decretato la sconfitta del centrosinistra, soprattutto nel Lombardo - Veneto, vi è, per dirla con le parole di Aldo Bonomi, “il rancore”del Nord. Occorre tornare al pensiero di Tocqueville, all’importanza della rappresentanza locale, della prossimità ai territori … ma questa è un’altra – ed altrettanto complessa -storia.

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