Molti sostengono che la classe
politica di un Paese riflette fedelmente la società civile che l’ha
partorita; così, almeno, dovrebbe avvenire in una democrazia compiuta.
In particolare ricordo che in una ormai lontana puntata della
trasmissione televisiva “Porta a porta” (caduta in realtà, come tante,
nell’oblio; me ne ricordo solo perchè
la citai in un passato intervento nel weblog)
l’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, per contrastare le
domande incalzanti di Vespa sui ricorrenti scandali nel modo politico,
chiese retoricamente: è proprio sicuro che la società civile sia
differente e soprattutto migliore della classe politica? Cercando così
indirettamente di evocare il vecchio detto: tutti colpevoli, nessun
colpevole.
In quella occasione scrissi che spesso la società civile non è
migliore dei politici che la rappresentano in Parlamento. Tuttavia,
preciso ora, ciò non significa che la società civile corrisponda
esattamente alla classe politica “dominante”, costituendo quest’ultima
uno specchio deformato della società civile. Così, almeno, voglio
sperare per il futuro dell’Italia.
Certo, se andiamo a controllare la provenienza dei vari deputati e
senatori che compongono l’attuale Parlamento, ci accorgiamo che sono
presenti, più o meno, tutti i componenti della società civile (non solo
donne ed uomini, per l’ormai imperante principio della parità di genere,
ma anche operai, industriali, rappresentanti del c.d. popolo delle
partite IVA e perfino studenti universitari).
Tuttavia, se escludiamo i molti “peones” che si limitano quasi sempre
a seguire gli ordini di scuderia, essendo stati “nominati” dalle
segreterie politiche che ne condizionano la rielezione e limitiamo
l’esame a coloro che effettivamente tirano le redini del gioco
parlamentare, ci accorgiamo che essi sono in gran parte dei politici di
professione, dato che nella loro vita non hanno svolto alcuna altra
attività se non quella della politica; non che ciò sia una colpa od un
merito, ma rimane un fatto da valutare, per capire meglio.
Quanto appena detto vale in particolare per i due principali
esponenti politici attuali: il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, che è un politico di lungo corso (la sua carriera iniziò
infatti allorchè l’attuale Partito democratico si chiamava P.C.I.) ed il
Pres. del Consiglio Matteo Renzi, che, per ragioni anagrafiche, è un
politico di più breve corso (il cui padre –
come si apprende tramite Wikipedia
– è stato consigliere comunale di Rignano sull’Arno tra il 1985 e il
1990 per la Democrazia Cristiana; il Pres. Renzi – sempre secondo
Wikipedia – dopo avere conseguito nel 1999 la laurea in Giurisprudenza
con una tesi in “Storia del Diritto” dal titolo “Amministrazione e
cultura politica: Giorgio La Pira Sindaco del Comune di Firenze
1951-1956” e dopo aver lavorato nella azienda paterna ed aver tentato
una carriera nel settore degli arbitri di calcio, si è iscritto prima al
Partito Popolare Italiano, confluito poi nella La Margherita e poi
ancora nel P.D., diventando prima Presidente della Provincia e poi
Sindaco di Firenze: da qui, recentemente, l’acrobatico salto alla
Presidenza del Consiglio ed a quella del semestre europeo).
Già la tesi di laurea di Renzi non sembra costituire un buon viatico:
tale tesi, infatti, come già detto, è stata dedicata a Giorgio la Pira,
Sindaco di Firenze, i cui buchi di bilancio passarono alla storia (è
bene precisare che allora si era ancora agli albori della c.d. prima
Repubblica e gli amministratori con le mani bucate costituivano solo
l’eccezione); La Pira infatti –
come
raccontò Indro Montanelli in un famoso articolo pubblicato nel Corriere
della Sera di molti lustri addietro, ma ancora consultabile on line, suggeriva di coprire i buchi raccomandandosi alla Madonna e, quando diventò Sindaco, “
via via che trovava un buco nel bilancio – e Dio sa se ce n’erano – lo metteva in conto alla Madonna e ne faceva degli altri“; questo è il “padre putativo” ed il modello al quale si è ispirato il giovane Renzi.
Ad ogni modo, se si esaminano i curricula di questi due politici di
primo piano, quelli che erano i sostenitori del “compromesso storico”
nella prima Repubblica oggi saranno probabilmente soddisfatti (quindi
non è vero che moriremo tutti democristiani, ma quali figli del
compromesso storico forse si). E se si esaminano i curricula degli
esponenti di primo piano del mondo politico, ci si accorge che,
purtroppo, mancano spesso quelli che vengono chiamati, nel mondo
anglosassone, i c.d. “civil servants” che si dedicano agli interessi
veri della collettività, spesso a scapito del consenso popolare
(l’ultimo che io ricordi è stato il Pres. Ciampi).
La prima regola che i politici di professione imparano solitamente è
quella di promettere molto e soprattutto di non tagliare mai in maniera
drastica la spesa pubblica (ma semmai incrementarla, secondo la vecchia
ed abusata regola del “tassa e spendi”), perchè è così vitale per il
consenso elettorale.
Il problema è che, sotto l’incalzare della crisi economica ed il
dilatarsi della tassazione che grava su imprese e cittadini nonchè
dell’imponente debito pubblico, la appena citata regola (tassa e spendi)
non è più praticabile, anche se non sono da escludere ulteriori aggravi
di tassazione nel prossimo autunno per fronteggiare gli ultimi buchi di
bilancio, anche grazie alle clausole di salvaguardia introdotte dal
Governo Letta, nè sono sufficienti generici impegni di riduzione della
spesa pubblica.
Anche perché nel frattempo la spesa pubblica, a dispetto delle
riforme “epocali” recentemente varate, continua a galoppare: si è
appreso appena ieri – anche se la notizia è stata accuratamente posta in
secondo piano dai nostri organi di informazione – che, nei primi sei
mesi del 2014, la spesa pubblica è aumentata di oltre 99 miliardi di
euro, mentre le entrate – a causa della crisi economica – sono diminuite
di oltre il 7%.
Di fronte a questo drammatico scenario, io personalmente rimango
scettico sul fatto che un personaggio come Renzi, il quale ha già
dimostrato di volere mantenere a tutti i costi l’imponente consenso
elettorale conseguito alle scorse elezioni europee, sia in grado di
incidere seriamente sulla spesa pubblica. Mi ha colpito in particolare
l’apparente indifferenza mostrata alla notizia delle ventilate
dimissioni di Cottarelli. Lo stesso dicasi per il Pres. Napolitano, il
quale, nonostante la crisi economica, nel corso del suo lungo mandato,
non ha ridotto di molto il dispendiosissimo apparato della Presidenza
della Repubblica. anche al fine di dare un segno di svolta. Chi vivrà,
comunque, vedrà. I ripensamenti, in questo caso, sono da considerare ben
accetti.
Quel che mi preme qui sottolineare è invece il discorso che facevo
prima e cioè che la classe politica dominante – anche per il sistema
elettorale – è costituita da politici di professione, i quali, quanto
meno per l’innato istinto di conservazione (si può fare qui ricorso alla
magari abusata, ma efficace immagine, utilizzata nel mondo
anglosassone, dell’impossibilità per i tacchini di fissare
volontariamente il giorno del ringraziamento), non sono molto propensi
ad incidere significativamente sulla spesa pubblica.
Ciò è valso anche per i cd. “tecnici” che in realtà si sono rivelati
dei politici, com’è avvenuto nel caso di Monti, il quale, per evitare di
apportare tagli alla spesa pubblica, dopo appena sei mesi
dall’incarico, nonostante che si trattasse di un Governo super-tecnico,
diede incarico a Bondi, risanatore della Parmalat, ma con sulla carta
molti meno titoli dei componenti del Governo, l’incarico di effettuare
una
spending review e le cui proposte, per buona prassi, sono state accuratamente conservate in un cassetto ben chiuso.
L’unica speranza è costituita dal fatto che, come ha recentemente
detto (perfino in modo brutale) il Pres. della B.C.E. Draghi,
l’alternativa è ormai che o si fanno subito le riforme (quelle serie,
con la riduzione della spesa pubblica ed il taglio delle tasse) o
interverrà un commissariamento da parte della U.E. e del Fondo monetario
internazionale, dato che l’Italia è “too big to fail”.
Una dichiarazione questa sorprendentemente condivisa parola per
parola dal Pres. Renzi, nonostante che non abbia finora molto fatto per
ridurre la spesa pubblica. Lo stesso Renzi, del resto
ha ammesso, nelle ultime ore, dopo avere incontrato segretamente Draghi, che «in Italia c’è una situazione drammatica».
Io personalmente, come già detto, rimango scettico e comincio a
sentire il rumore degli elicotteri del Fondo monetario o (scenario
questo in realtà meno verosimile, per la presenza di un Berlusconi che
ormai sembra aspirare solo a gestire il suo declino) il rumore, non meno
fragoroso, delle elezioni politiche anticipate, per sfruttare l’onda
lunga delle europee ed evitare – come li ha chiamati la Merkel – i
dolorosi compiti a casa, più volte rinviati.
Il problema è che l’economia non solo mondiale, che ha acceso nei
giorni scorsi un faro sull’Italia, ma soprattutto italiana, che ormai
vistosamente boccheggia, non può più ulteriormente attendere meline,
rinvii o giochi di prestigio (come quelli di togliere un poco di tasse
qua, per metterne molte più alte là). Non c’è più tempo da perdere.
O forse dobbiamo, come il modello al quale si ispira il Pres. Renzi,
raccomandarci alla Santissima Madonna per coprire i buchi di bilancio?
Giovanni Virga, 14 agosto 2014.
Certamente, è grave la circostanza che la spesa pubblica aumenta, ma benefici per i cittadini non vi sono. Per esempio, se le risorse raccolte fossero destinate veramente alla sanità, alle infrastrutture, alla scuola, alla sicurezza, probabilmente si vivrebbe nell’eldorado.
Purtroppo, nonostante la spesa pubblica sia altissima, i servizi sono a livello molto basso (e questo lo vediamo da cittadini quando prendiamo un qualunque treno regionale o andiamo in un ospedale pubblico).
Il problema vero del Paese nasce dalla mediocrità delle classi dirigenti (comprese quelle private), oltre l’imperante corruzione e malavita che entrano sempre con più prepotenza nel nostro sistema economico dominandolo e distruggendolo. Si pensi all’oramai diffusa invasione dei nostri territori. Sappiamo che i migranti pagano cifre spropositate per raggiungere le nostre coste, ma non sappiamo e non prendiamo chi, su queste tragedie, specula e guadagna.
L’Italia potrà iniziare a riprendersi solo quando le persone per bene potranno riprendere a dirigere questo Paese, sia nel mondo privato, sia in quello pubblico, ma per fare questo serve una nuova cultura della responsabilità e serve dare alle giovani generazioni messaggi positivi, dove non vengono premiati i furbi e gli arrampicatori disonesti, ma quelli che si applicano nella vita con serietà, con onestà e con sacrificio.
Potrà pure sembrare illusorio, ma strade diverse non esistono.